Circostanze. Circostanze, situazioni, valutazioni erronee… ma non tue, di altre persone. Contingenze che ti cambiano la vita, che cambiano una carriera, che incidono sulla tua strada, quella che avevi selezionato, quella che eri sicuro che fosse la strada giusta. L’avevi trovata, ma poi il battito d’ali di una farfalla te l’ha fatta perdere. E allora ne devi cercare un’altra, consapevole che sarebbe potuta andare diversamente, se quella farfalla non avesse battuto le ali.
La carriera di Rayden nella musica e nel freestyle si è persa. Per il battito d’ali di una farfalla: il giudizio della finale del Tecniche Perfette, il mancato invito a MTV Spit, un disco non compreso, l’aver sperimentato sonorità quando il pubblico non era ancora pronto ad accoglierle. Probabilmente anche Rayden ha avuto delle colpe, certo, ma quanto la casualità ha inciso sul suo percorso? Ed ecco la nuova vita, la nuova strada: il poker online. Ma parliamo con lui per scoprire tutto il mondo che c’è dietro a questo cambio di rotta, a questo ridirezionamento tanto clamoroso quanto doloroso.
Come hai iniziato a fare freestyle?
Dal movimento a Torino del Teatro Regio, che era un po’ il raduno hip-hop di Torino. I primi anni delle superiori (97′-98′ circa), si andava lì il sabato, c’era gente che faceva break-dance, gente che faceva freestyle. Ho iniziato prima con Raige, con cui mi allenavo a casa i pomeriggi o le giornate intere. Giravo con il walkman con le cassette, con dentro le strumentali e quando andavo in giro a scuola o in treno, mentalmente ci improvvisavo sopra su quello che vedevo. Quella è stata la palestra, l’inizio. Ascoltavo specialmente Articolo 31 e Tupac (ero stra fan di lui specialmente).
Come nascono i OneMic da ciò?
La roba del rap a quei tempi era inesistente, non c’era nessuno che lo faceva. Io conobbi un ragazzo in seconda superiore che mi presentò Raige e Canebullo ed eravamo una mega-crew con 7-8 elementi. Ai tempi Ensi nemmeno rappava, faceva le medie. Poi siamo rimasti solo io e Raige e quando ha iniziato a fare musica Ensi, abbiamo creato i OneMic, nel 2003.
E sono nati in ottica freestyle o rap?
Parallela. Noi inizialmente eravamo più conosciuti per il freestyle, che era una bella cassa di risonanza all’epoca e ci dava popolarità anche per i dischi. A quei tempi c’erano contest di freestyle ovunque, c’era tanto fermento su questa cosa, anche in locali storici di Torino come Giancarlo si faceva freestyle. Soprattutto dopo 8Mile. Questo fermento si ferma forse intorno al 2005. Mettevano in palio anche bei soldi. Per esempio, c’era l’Urban Flame a Collegno dove davano 1000 euro al primo e 500 al secondo. C’erano davvero contest ovunque.
Cosa fai nella vita ora?
Poker online. L’ultimo disco, quello uscito non andò molto bene, mi chiamarono a fare pochi live e ho deciso di cambiare vita, anche per non perderci troppo economicamente. Inoltre, faccio il vocalist per le serate del Mamacita, faccio anche freestyle durante le serate. Un valore aggiunto, che il vocalist che dice semplicemente “su le mani” non ha.
Perché pensi sia andato male?
Secondo me stava un po’ cambiando tutto, proprio a livello di panorama musicale. In più l’etichetta Newtopia è uscita con la roba di Rovazzi, che quindi ha avuto tutta l’attenzione mediatica del caso. Quindi quello è stato un gran bel disco a livello artistico, ma è mancato un po’ di hype, per andare incontro alle esigenze musicali del momento. Diciamo che ero come un campione di curling in un mondo in cui tutti seguono il calcio. Prodotto bello, ma in un momento in cui serviva altro.
Certo, un po’ come fare uscire la trap dieci anni fa.
Sì ad esempio io feci alcuni pezzi con un orientamento trap in passato, tipo “Pari Opportunità”, nell’Uomo Senza Qualità. E la gente mi insultava al tempo. Penso sia anche un qualcosa di generazionale, io quest’anno faccio 37 anni, ho altri riferimenti culturali, sociali, musicali rispetto a chi fa musica ora per ragazzi molto giovani.
Rayden, non pensi di tornare a fare canzoni?
La vita da cantante è una delle vite più belle che uno possa fare, ma se non maturi un reddito decente non ha senso farla. E ha ancor meno senso se vieni da un certo percorso: ho fatto gli MTV Days davanti a 40.000 persone, ho fatto svariati anni da 40-50-60 concerti all’anno dove si vendevano i dischi. Trovarmi a fare robe da cui non ci alzo un euro, con trenta paganti, è un qualcosa che a livello psicologico ti ferisce e ti distrugge. Dopo quell’album del 2016 ho fatto due anni quasi di depressione, perché ho fatto musica da quando avevo 13 anni fino a 33, dover cambiare vita è uno shock notevole.
Pensavo, sinceramente, che l’esplosione del rap avesse aperto porte a tutti, anche ai più “old school”.
Sni, nel senso magari dal di fuori può avere una diversa chiave di lettura. Anche persone con profili artistici di un certo livello hanno magari views comprate, numeri dopati e non guadagnano quanto si pensa guadagni. Non si ha quasi mai la cartina tornasole. A volte gli artisti investono tanti soldi, si fanno vedere, ma non sai mai se ritornino questi soldi. Oramai devi fare un video di alto livello, devi avere la promo su Spotify, devi fare Google AdWords, devi lavorare su Instagram, devi pagare per entrare nelle playlist su Spotify… Non posso pensare di sacrificare tutto per la musica, a 37 anni, per fare 7 date. Per questo ho dovuto cambiare vita, io fino al 2016 ho sempre vissuto dignitosamente bene con la mia musica.
Stai continuando a scrivere?
Ho fatto qualcosa a livello di autore per altri risalente a un annetto fa, poi ho fatto il pezzo nel disco di Raige e altri tre featuring per artisti emergenti. Quattro strofe in un anno. Quando c’è qualche progetto interessante, lo faccio volentieri. Ma quello che mi è successo con la musica è stato un po’ uno shock, un tradimento, diventato quindi quasi più uno stress che altro.
Le tue due battle più famose sono collegate fatalmente con Clementino: finale del Tecniche Perfette 2004, Rayden vs Clementino e finale del primo turno del 2thebeat, con Ira e Gel. Nel primo caso, Clementino si ritira, ma vince comunque la sfida. Cosa successe?
Lui si ritirò, ma la giuria diede comunque un giudizio e lo fece vincere. Non ho mai capito bene questa cosa, anche quando ne ho riparlato con Mastafive. Clementino arrivava da una scuola molto attoriale e aveva una bella presenza sul palco, aveva un magnetismo diverso che poi probabilmente lo ha premiato. Io penso che fossi bravo nel mio, ma poi nella vita le cose vanno un po’ per conto loro. Stesso discorso per la finale a 4 del 2thebeat, anche se lì essendo a 4 era meno gestibile come cosa, poi c’era stata tutta la roba di Gel che comunque aveva abbastanza catalizzato l’attenzione.
Perché non fai mai giurie?
Non mi chiamano, se no lo farei volentieri. Io penso di aver fatto tanto in questo settore, ma non sono riconosciuto molto per il freestyle come tanti altri. Per dire, non sono stato nemmeno chiamato a MTV Spit. Un certo modello lo abbiamo creato noi, come scuola torinese, mentre viene identificato solo Ensi come capostipite di questa cosa qui. A volte, come in tante cose, semplicemente non si allineano gli astri: magari una battle di quelle che abbiamo nominato veniva valutata diversamente, finivo a fare Spit, ti creavi link e popolarità lì e cambiava un po’ tutto. Nella vita è sempre così, alla fine una cosa che mi ha insegnato Fabri Fibra quando stavamo facendo Raydeneide assieme (lui era direttore artistico) è che quando tu lavori a una canzone o a qualcosa, gli dai sempre una chiave di lettura, ma poi quando il pezzo esce in realtà vive di vita propria e la gente che decide che significato dargli e come andrà.
Quanto pensi influisca il fatto di essere affiancato da un personaggio ingombrante come Ensi nel ruolo che tu hai assunto nella storia del freestyle?
Tanto, arrivavamo entrambi dai One Mic e lui è un catalizzatore d’attenzioni, probabilmente ha attirato la luce su di sé ed è stato più bravo a gestire questa cosa qui. Probabilmente anche per una questione di physique du rôle, quella è la sua skill specifica, io invece sono meno focalizzato, ho fatto canzoni scritte, tipo 100 produzioni, freestyle…Sono un po’ più multiforme, mi piace spaziare, quindi questo da un lato è un pregio, da un altro è un difetto, perché così confondo la mia immagine e non riesco a darne un taglio netto. Penso che anche l’età anagrafica abbia un peso, Fred de Palma e Shade hanno raccolto tantissimo dal freestyle arrivando solo pochi anni dopo di me. E’ anche una questione di tempi, di gestione delle cose, tutto incide.
Mi hai detto che continui a fare freestyle al Mamacita, ma negli anni in cui non lo facevi continuavi a farlo?
In realtà no, quando ero giovane lo facevo tutti i giorni, facevamo le serate io, Ensi e Raige a rappare. Adesso è una cosa che per me è come andare in bicicletta, se devo fare freestyle in un locale davanti a mille persone o stare a casa a guardarmi una serie su Netflix per me è la stessa cosa, nel senso che sono così tanti anni che lo faccio che mi viene proprio spontaneo. Posso anche stare sei mesi senza fare freestyle, ma mi riesce lo stesso senza problemi. E’ anche una maledizione/benedizione, del tipo che quando si fa al karaoke mi rompono sempre il cazzo per fare freestyle, non smetti mai di farlo del tutto perché sul pubblico generalista è la roba che ha più presa in assoluto.
Il tuo erede?
Direi Fred de Palma, principalmente agli inizi della sua carriera, soprattutto per il modo di scandire le battute. Sia lui che Shade hanno preso molto da noi e poi col tempo hanno creato il loro stile peculiare.
Forse in parte sì, anche se il tuo stile nel fare freestyle è molto originale. Come te lo sei creato?
Si era costruito in modo naturale. Poi io ho una voce un po’ bucata sulle frequenze medie, quindi magari se avessi fatto robe troppo fitte o incastrate senza scandirle bene, secondo me non si sarebbero capite tante robe perché si impastavano alla base. Quindi io ho involontariamente dovuto trovare una cadenza vocale che arrivasse alla gente e questo ha caratterizzato tanto il mio flow. Ai tempi non sapevo tutto questo ovviamente, me ne sono accorto negli anni successivi e ho cercato di lavorarci su e di adattare il timbro della mia voce al tipo di musica che volevo fare.
Come usi il freestyle per fare canzoni?
Allora, inizialmente volevo separare le due cose e in più avevo un’ottima propensione per la scrittura, quindi le canzoni le facevo sempre prendendomi le mie giornate per scrivere il testo, cesellarlo. Mi serviva, però, per la lettura delle melodie. Per esempio, Beyoncé fa le sue canzoni entrando in studio e improvvisando sulla musica. La cosa migliore, per me, è mettere insieme questi due processi: freestyle per trovare metrica, scrittura per trovare le parole giuste. Poi ogni pezzo ha la sua genesi, per dire la mia strofa su Scusami (una pietra miliare dei One Mic) l’ho scritto una sera prima di andare a dormire senza neanche ascoltare la base. Invece ci sono altri pezzi che non hanno lasciato nessun segno nella mia carriera, dove veramente ne ho fatte dieci versioni. Come c’è il pezzo a cui ho lavorato un sacco e che è diventata una hit. Non c’è mai una formula giusta.
Come cambia la produzione di una canzone da singolo e da gruppo?
Cambia tutto. In gruppo, intanto bisogna trovarsi bene a livello umano e lavorativo. Poi di solito in un gruppo c’è sempre quello che deve cedere qualcosa. Per esempio in Commerciale, le parti scritte da Ensi sono minori rispetto a quelle fatte da me e Raige, molte parti lui le ha solo interpretate (c’è proprio nei credit del disco). E’ un disco dove lui ha ceduto un po’ del suo. Se hai un partner di scrittura con cui ti trovi bene, è sicuramente un valore aggiunto. C’è anche quella sana competizione che ti migliora.
I freestyler più forti che hai affrontato?
Ensi e Shade. Poi Shade non te lo aspettavi perché era giovanissimo.