Playlist – I brani dei “freestyler” pt.1

A cura di Stefano Uccheddu

“Playlist” è una vetrina che espone i migliori brani dei freestyler italiani, senza cartellino del prezzo e senza alcun preconcetto su numeri, stream e royalties.
In un mood complessivo alla “quello che vi consiglio”, l’unico filtro per la scelta delle tracce è stato il caro e vecchio gusto, legato scientificamente al senso dell’udito e scientemente al controverso universo della soggettività.
In ogni episodio, vi presenteremo 3 brani che meritano un ascolto, uno sguardo, un taglio di luce nei vostri Pods.

1) Shekkero Sho – L’Amorte (prod. MoreMusic)

Il brano è uno storytelling, uno stream of consciousness, che si apre nel silenzio. Shekkero comincia a raccontarsi prima che parta la base, in un climax che veleggia nel silenzio, sino alla rottura: la morte di Eddie Guerrero; lo scossone di una generazione che si risveglia dalla fanciullezza, l’evento traumatico che vibra sulle corde di una chitarra. Il flow è dapprima serrato, poi sembra giovare d’influenze reggae e si distende sui frame di un video che accompagna la canzone. Bisogna chiarire subito un aspetto fondamentale: “L’Amorte” non esiste senza video, è un esperimento di spoken poetry perfettamente riuscito per intimità e suono. Concettualizzare un video è sempre complesso. Alcuni tra i più noti artisti mainstream hanno seguito lo stesso processo creativo (il primo Fedez o Salmo), dimostrando come il rap sia uno dei pochi generi musicali in grado di prestarsi alla “musica per immagini” senza snaturarsi. L’abilità di raccontare in una continua sospensione tra il singolo e l’universale, tra la vita di uno e l’idea di molti, tra l’esperienza e il concetto: “L’Amorte” vince, perché in equilibrio nel suo vivere tra due mondi paralleli. Il ritornello è particolare, ma nella sua malinconia c’entra pienamente il mood del brano e dolcemente scorre sulla base. Una presa di coscienza su un tema complesso come la caducità della vita umana, raccontata attraverso un’esperienza diretta: la vita di Shekkero, un artista che si conosce, disconosce e riconosce. E non è banale.

2) FEA (John Durrell, Bruno Bug & BLNKAY) – Superman

Ed ecco il featuring tra i membri di FEA. “Superman” è un cerbero con ampi riferimenti stilistici al fusion tra rap e pop americano: barre aggressive intervallate dal ritornello femminile. Un esperimento visto e rivisto negli US (penso, ad esempio, al grande successo di Jay-Z e Alicia Keys con Empire State of Mind) che in Italia ha attecchito sempre con difficoltà e, soprattutto, diffidenza. Il rischio era un ritorno al 2010 sciapo e senza nerbo, ma FEA dimostra di sapersi giocare le proprie carte. John Durrell incalza subito con un flow “mumble” molto drill e gioca con classe sull’acceleratore del flow. Poi, la voce di Paola De Pasquale riporta l’atmosfera sul cloud e il brano sembra perfettamente bilanciato, come tutto dovrebbe essere. Bruno Bug entra nel secondo slot. Flow sperimentale, prova a dare ulteriore musicalità a un base delicata e ci riesce nella seconda parte della strofa. Il nuovo ritornello della De Pasquale è al servizio di un’entrata d’impatto del robottino di GE. Il Superman del freestyle italiano spoglia le vesti da Clark Kent della società e si prepara in una cabina telefonica del porto. La metrica è veramente devastante, da analisi logica. Per certi versi, in extrabeat, ricorda un mostro di tecnica del rap italiano come Nayt. La domanda è: cosa gli manca per diventare un Superman del rap italiano?
“Posso concludere che di esser Superman me ne frego” (cit. Blnkay)
Gli artisti rimarcano con forza il loro status, e in parte il loro diritto, di rispettarsi e rispettare di conseguenza la propria arte senza snaturarsi. “Superman” è una sorta di richiamo alla normalità, lontano dall’ostentazione e dalle tematiche più vicine alla sfera della trap. In un mondo di supereroi con la marca e senza lode, si riscontra ancor di più “the importance of being Kent”.
Perché in fondo sappiamo quanto il mondo abbia ancora bisogno dei propri Clark Kent.

3) Reiven – A19

A-19 è una traccia che appartiene al proprio tempo. L’uso dell’autotune è ben calibrato e al servizio della voce di Reiven. Il tema astronomico scelto dall’artista ci porta in un salottino chill che trema pericolosamente tra l’Armageddon delle parole e le carezze di un beat “da spingere in porta”. Una fuga dalla clausura imposta, il Cielo come unica chiave per scappare su una A-19 (l’autostrada siciliana che collega Catania a Palermo) costellata di incertezze, ma lontana dalle tentazioni. Reiven scaccia lo spettro più ingombrante, l’amico velenoso della solitudine: gli psicofarmaci, che legano la psiche nel buio. Dietro una velata prima lettura “amorosa”, A-19 rivela un messaggio impattante e sincero. La creatura di Reiven è una gemma “a tempo”, sotto ogni punto d’orecchio.

CmA

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