Intervista a Drimer

“Se avete fiducia in voi stessi, ispirate fiducia agli altri” diceva Goethe. Ma forse è la storica frase di Kobe Bryant a rappresentare nel migliore dei modi il profilo del freestyler che abbiamo intervistato “Se non credi in te stesso, chi ci crederà?”. Perché, quello che ci sentiamo di sostenere dopo questa chiaccherata, è che alla fin fine Drimer ha una maniera molto sportivo-competitiva di concepire il suo essere artista. Come i grandi dello sport, crede di essere il migliore e lavora per esserlo, rimanendo fedele e rispettando la cultura che lo ha forgiato.

Ecco, quindi, la nostra intervista a uno dei freestyler più discussi della scena, già ospite di Real Talk e membro dell’etichetta di Massimo Pericolo “Pluggers”: Drimer, from Trento, in tutte le sue sfumature.

Come hai iniziato a fare freestyle?

Lo devo a 8 Mile e alla grande passione che mia sorella più grande mi aveva passato per Eminem. Ho coltivato il freestyle prima dello scrivere musica: con alcuni ragazzi della mia vallata quando si poteva passavamo i pomeriggi insieme a fare freestyle bruttissimi, affinandoci. Quando è arrivato internet a casa, ho iniziato a vedere cose online, la prima battle che ho ascoltato è stata Fibra vs Kiffa. Mi ha fatto rendere conto che si poteva fare in italiano e da lì sono entrato in contatto con la scena locale. Il mio primo contest di freestyle in assoluto è stato Natale Letale nel 2010, contest che si fa da 15 anni a Trento, che ho vinto due volte e di cui ora sono giudice.

Raccontaci l’etichetta “Pluggers”.

È un’etichetta indipendente, anche se ci piace chiamarla “nuova major”. Realtà molto genuina, con cui collaboro già da tempo e solo recentemente ha ufficializzato il suo roster. A dir la verità, l’album dell’anno scorso è uscito già distribuito da Pluggers. Ora stiamo lavorando insieme ai nuovi progetti, prendendoci tutto il tempo necessario.

Il tuo punto di forza, riconosciuto da tutti, è l’extrabeat. Quanto pensi che ti aiuti nelle battle e come pensi venga valutato dai giudici.

Il freestyle è molto simile al wrestling: ogni rapper è un personaggio con le proprie storie e le proprie skills. È normale che una caratteristica speciale di un determinato freestyler tenda a identificarlo. Per quanto mi riguarda, l’extrabeat più che il mio punto di forza, lo definirei la mia mossa finale (prendendo sempre il wrestling come spunto). Perché in realtà, guardando le mie battle, io penso che i miei punti di forza siano altri: carisma/presenza scenica e il fatto di stare sempre dentro la battle. Con questo intendo che raramente vado in aperta difficoltà, forse perché faccio freestyle da molto tempo o forse perché sono molto invasivo. Per me l’extrabeat, tra l’altro, è un’arma a doppio taglio: il problema – più che farlo – è dove metterlo nel corso della battle. L’extrabeat messo nel posto sbagliato o fatto continuamente salta subito all’occhio e stanca.

Esempio di extrabeat messo nel posto giusto/sbagliato?

L’esempio di timing perfetto è la finale della Tritolo contro Morbo. In altre situazioni, prendo Mic Tyson contro Reiven, l’extrabeat ha permesso al mio avversario di prendere il sopravvento.

Alleni l’extrabeat?

In realtà non mi sono mai allenato a fare freestyle. Quando ero piccolo, nella mia cameretta mi mettevo i video delle battle storiche e per allenare la risposta mi mettevo a rispondere al posto di uno dei due. Dovetti smettere perché le battle erano finite, ce n’erano poche all’epoca. L’extrabeat non lo alleno, nel senso che il timing è un qualcosa che – mi sento di dire – ho un po’ per talento naturale e riesco sempre ad adeguarmi bene alle basi. Il farlo nelle battle e nei pezzi diventa l’allenamento in sé.

Il tuo più grande difetto nel freestyle sono invece le punchline. Provocazione: non potresti allenarti a farle? Ti permetterebbero di vincere alcune sfide con meno difficoltà.

Hai ragione, infatti sono il freestyler che fatica di più contro i nomi meno blasonati. Questa mancanza è figlia dell’ambiente in cui sono cresciuto e del percorso che ho fatto. La scena trentina è molto improntata sul flusso e sulla realness. La caratteristica che ho di sferrare colpi bassi, che da alcuni viene vista male, è in realtà figlia di un modo di fare freestyle “old school” in cui – più che la punch super arzigogolata – smontava di più dire qualcosa che senza giri di parole andasse a colpire sul personale. Per capirci, era più stiloso dire all’avversario qualcosa contro la sua crew, piuttosto che dire qualcosa sul Corona Virus. Invece, ultimamente nel freestyle – evolutosi molto più come show – la punchline più complessa (in un certo senso di origine milanese) è diventata più centrica. Per chiudere il discorso e risponderti alla domanda, è sicuramente un qualcosa che potrei sviluppare, non mi sento in difetto sotto questo punto di vista. Però, richiederebbe un tipo attenzione, allenamento e impegno che non ho tempo e voglia di dargli.

Inoltre, penso che snaturerebbe il tuo stile caratteristico

Mi piace molto l’idea di portare avanti un freestyle molto improntato sul flusso e poi ho anche un percorso musicale che – mi permetto di dire – è importante. Ho cercato di affinare, comunque, il discorso “effetto delle barre” molto più per la scrittura che per il freestyle, questo si vedrà nei pezzi nuovi e spero che possa avere un effetto anche sul freestyle.

Come lo definisci lo stile trentino di fare rap?

Le parole magiche a mio parere sono flusso e realness: volendo, lo si potrebbe lontanamente paragonare alla scuola torinese. Ensi, Rayden e compagnia avevano le loro rime ad effetto, però erano contemporaneamente anche molto stilosi.

E pensi di rievocare questo stile?

Sì. Infatti, se parliamo di battle di freestyle, quattro quarti, pubblico e giuria che decidono chi vince, io so assolutamente che ci sono tantissimi freestyler da nord a sud che sono più adatti di me, nonostante io possa giocarmela. Se parliamo però di avere un dj alle spalle, la gente davanti e doverla intrattenere per 20 minuti, so che – per il tipo di freestyle che faccio – ho pochi competitor da temere. Al tempo stesso, sono figlio del mio tempo e penso di avere preso questa cosa e averla fatta mia, portando cose nuove. Sia a livello di stile che culturale, faccio freestyle tributando molto alla vecchia scuola.

Cambi di flow: tu ne fai tanti, ma non sempre (prendiamo la battle dello Smicdown contro Snake come esempio) vengono tenuti in conto dalla giuria. E’ un errore?

Io penso che il discorso tecnico venga preso poco in considerazione o preso in considerazione per ultimo all’interno delle battle. È normale che il pubblico lo noti poco: bisogna sempre tenere in conto che il pubblico non è formato da addetti ai lavori. Quindi arrivano prima punchline, modo di comportarsi e ultimamente anche gli incastri. Quando faccio mille cambi di flow so che non avrò lo stesso effetto che può avere una singola punchline per il pubblico. Ma mi sento di dire che la giuria spesso pecca nel valutare alcune cose, perché si fa trascinare dal pubblico.  È anche vero che c’è una tempesta perfetta che impedisce questo, cioè: pubblico non abituato + 10 in Italia a poter proporre uno show valido su quel tipo di beat. Normale, quindi, che non ci si pensi. Magari, fare un contest esclusivamente con robe nuove, potrebbe aprire un po’ le porte sotto questo aspetto. Perché il ragazzino che inizia a fare freestyle se sa che il flow è importante, lo allenerà e avremo una generazione molto più preparata sotto questo aspetto. Insomma, il discorso cambio di flow o extrabeat inizierà a essere veramente valorizzato quando ci saranno più contest o dei contest esclusivamente specializzati nell’utilizzo di strumentali nuove, non necessariamente trap, ma con BPM diversi, che permettano al pubblico di cogliere di più questa cosa. Attraverso alcuni beat (ad esempio Run The Jewel, Blockbuster, quello che hanno messo nella mia sfida contro Morbo alla Tritolo), è più facile che alcuni modi di rappare arrivino alla gente.

Come vedi la nuova generazione a livello di flow?

Allora, molto figa questa cosa che ci siano tante battle, però ovviamente ha delle controindicazioni. Quelli che sono venuti fuori recentemente lo fanno nell’ottica della battle. Rispondere, rime ad effetto ma ti perdi quell’attenzione per il flow e per lo stile che per questo è caratteristica di pochi freestyler.

Discorso “Drimer è antipatico”: qual è la tua opinione al proposito?

Sul palco mi è capitato in contesti che sono diventati molto viral di avere degli atteggiamenti che potevano essere sicuramente evitati, ma sono stati sicuramente sovrastimati per quello che è il mondo assurdo di internet e per l’incapacità di analizzare le cose dei ragazzi più giovani. È un po’ come quando vedi quei calciatori che sono forti, ma hanno anche una voglia di prevalere/cazzimma (che fa parte del contesto della battle) che li porta ad avere atteggiamenti sopra le righe (non mi sto paragonando, ma tipo un Ibrahimovic per esempio). Questo mio atteggiamento sul palco “molto spocchioso” è figlio dell’ambiente rap in cui sono cresciuto, dove conta molto di più ciò che dici e come ti comporti rispetto alla trovata figa. È naturale che venga messa in primo piano la forza caratteriale e la voglia di prevalere sull’avversario e anche di ricorrere alle sue debolezze per affrontarlo. E sul palco, questa cosa mia viene fuori (tipo Mic Tyson). Se posso ricorrere a dei mezzi che sono “non belli” da vedere, ma che non sono vietati dal regolamento, lo faccio. Anche perché penso di rispettare sempre pubblico, giuria e avversario: anche quando perdo non meritandolo, lo faccio notare con la massima correttezza possibile (poi magari vado a casa e ci devo dormire sopra). Penso di essere uno dei freestyler che non ha mai avuto problemi con organizzazioni o altri rapper.

Spesso viene valutata la persona per il modo in cui fa freestyle

È una diretta conseguenza dell’epoca in cui viviamo. C’è un vecchio detto di un film western, “Chi ha ucciso Liberty Valance” che dice “Quando la realtà incontra il mito, il mito vince”. Il mio mito “da antipatico” è stato creato dal passaparola in seguito alla battle del Mic Tyson. Vorrei, insomma, far vincere la realtà (cioè quello che sono) sul mito (quello che pensano che io sia). Anche attraverso quest’intervista.

Ti dà fastidio l’hateraggio?

Quando leggo i commenti a una battle di freestyle e trovo determinate cose… chiaramente non è bello, però una regola del gioco: i ragazzini, le persone su internet ti insultano per tutto, anche se non gli piaci fisicamente. È una caratteristica delle persone che si espongono. È un qualcosa di naturale di cui non devo preoccuparmi. Se non ho fatto nulla di sbagliato, a prescindere dai giudizi dei fan, sono in pace con me stesso. Più in alto vai, più questa cosa aumenta.

Discorso presunzione: fa parte della tua persona o vuoi crearti questo personaggio?

Tutto quello che faccio è dovuto a un tratto mio caratteriale. Normale poi che venga esasperato quando si parla di musica, competizione o comunicazione social. Capisco che alcuni miei commenti possano essere visti come presuntuosi, ma per me è quella convinzione che è una parte intrinseca del rap. A Luché quando chiesero in un’intervista chi fosse il miglior rapper italiano rispose “Sono io, perché se fai rap e non credi di essere il più forte, hai sbagliato mestiere”. È questo per me il discorso, anche se rimango aperto al dialogo e cerco di essere sempre disponibile.

Faide personali in ambito freestyle: cosa ne pensi?

Come già detto, non credo nella distinzione fra personaggio e persona. Quindi, nel momento in cui salgo sul palco e trovo un avversario che fa o rappresenta qualcosa che a me non piace, mi viene naturale dirglielo. Stessa cosa quando parlo di politica e mi schiero contro un determinato tipo di pensiero o quando parlo di rap e mi schiero contro un determinato modo di farlo. È una mia impostazione personale. A posteriori trovo che la rivalità – di cui sono stato protagonista – sia stato qualcosa di molto interessante e stimolante da seguire per il pubblico del freestyle e penso di poter dire di essermi tolto la soddisfazione di essere stato l’unico avere un po’ riportato al centro – in un mondo del freestyle sempre più “volemose bene” – questo discorso del dire, fare e rappresentare davvero quello che si è e quello che si pensa.

L’hai fatto con quell’intenzione?

Assolutamente no. La mia è idea è questa: se io ho un problema con te e nel momento della battle di freestyle non sollevo il problema, ma faccio giochi di parole o il cabarettista, sono in realtà molto più irrispettoso verso quello che faccio rispetto a portare in un ambiente nato per quello le mie posizioni, le mie idee e le mie incazzature. Perché il freestyle è nato così in America, per esorcizzare dei disagi e per non creare violenza e risolvere i conflitti attraverso la musica. Nonostante, ovviamente, il nostro sia un mondo diverso, la componente real è venuta fuori in quell’occasione specifica ed è giusto che sia così.

Discorso politica e cultura nel freestyle.

Non deve avere nessun tipo di preminenza né di inferiorità rispetto al resto. Penso di essere uno dei freestyler che più esprime la sua concezione politica e che più si espone a livello sociale. Devi essere bravo a fare quello che fai, che sia ignoranza/black humour/cultura: vinci se sei più bravo a sfruttare quella particolare arma. Lo stesso vale per la musica. In Italia si è venuta a creare questa tendenza a vedere il discorso politico e culturale come un qualcosa che non dovrebbe essere toccato. Una follia, perché è sempre stato parte del rap e dell’hip-hop. Fa tutto parte di questo mondo, nessuno è obbligato a parlare di politica, ma se sottovaluti o sopravvaluti uno perché lo fa, non hai capito un cazzo.

CmA

Torna in alto