Intervista a Mouri

Un artista che vive la vita come un flusso. Persino dalla chiacchierata che abbiamo fatto, si è potuto notare il tratto distintivo di Carlalberto Mouri: cercare di esprimere tutto se stesso, senza blocchi o barriere, lasciando scorrere il discorso e le emozioni che si presentano. Questo gli permette di far fuoriuscire la sua personalità e le sue idee profondamente, senza schemi di comportamento. Lo fa nel freestyle come lo fa nella vita.

Come hai iniziato a fare freestyle?

Nel 2001/2002 mi è passato fra le mani “Dre 2001”. Allora non c’era YouTube né niente, quindi era un po’ utopia l’idea di avere una base rap su cui fare allenamento, magari si comprava l’edizione di qualche singolo su cui c’era anche l’instrumental e si finiva a rappare per mesi sulla stessa base. Poi, io essendo di un paese di provincia non ero tanto dentro la cosa: uscì questo disco che mi aprì un mondo. Mentre gli altri lo cantavano in un inglese maccheronico (ignoravamo cosa dicessero questi rapper), io per un discorso di onestà intellettuale preferivo cantarci sopra in italiano, erano più che altro filastrocche. Fra i banchi di scuola a 13-14 anni e sulle panchine della villa improvvisavo questi stornelli che – pur essendo molto grezzi -intrattenevano i miei amici. Ma onestamente a quel tempo manco sapevo fosse possibile fare “freestyle” o solo che la disciplina esistesse. Poco dopo uscì “8 mile” che fece un po’ di chiarezza su questa cosa del rap improvvisato e delle battle. La mia attività nasce nelle varie dance hall del sud dove era possibile prendere un microfono in mano e dire la tua, dance floor, drum’n’bass, rave….

Quando hai iniziato a scrivere?

Fin dall’inizio sono sempre stato molto preso dall’improvvisazione e col tempo ho iniziato a vederci anche un rischio nella cosa. Poi per caso qualche esperienza di vita mi ha portato a cercare lo sfogo sul foglio, l’ho fatto e mi sono reso conto che il risultato mi piaceva e potevo iniziare! Per ora le poche cose che ho fatto uscire hanno trovato il consenso del pubblico che già mi seguiva dai freestyle e non solo. Le prime cose e strofe per mixtape le ho fatte uscire intorno al 2009.

Ti piace più fare freestyle o scrivere?

Per me è una continua controversia questa cosa del freestyle. Mi piace l’idea di lasciare qualcosa di permanente e che resista al tempo e quindi di concentrarmi sulle canzoni: sono molto più concentrato sulla scrittura e la composizione ad ora, per questo cerco di prendere a tratti “distanze” dal freestyle. Ma nella mia testa continuo ad improvvisare dalla mattina alla sera. Il freestyle è l’arte con cui sono cresciuto e mi sono formato e che è entrata a far parte di me e che mi offre sempre forti emozioni e scariche adrenaliniche. In questo momento però fare le canzoni e ciò che mi stimola davvero, ciò in cui vedo la mia arte. Il freestyle per me si limita ad essere un attività ludica, per quanto fondamentale. Non a caso mi aiuta anche nella composizione dei brani, proprio per la sua magica immediatezza che ti permette di traslare in versi in tempo reale i pensieri che hai in testa.

Quindi qual è il tuo processo di creazione delle canzoni

Non ho un processo creativo preciso. Delle volte ho la necessità di sfogare determinate emozioni e farle scorrere su un foglio, dandogli forma passo passo, concentrandomi appunto sul testo. Altre volte mi succede di fare freestyle senza rendermi conto che altri ragazzi della mia squadra stiano registrando: poi lo ascolto e dico “cazzo sta roba suona forte…potrei farci un pezzo”. E’ un processo creativo in continua evoluzione e ogni canzone viene fuori in modo diverso. Il mio primo disco – nel 2014 (con Relief Records) – l’ho fatto prevalentemente in freestyle: ricordo di aver conquistato il contratto con questa etichetta, ma non ancora la mia maturità da cantautore. Avevo scritto solo 3 canzoni, alcuni pezzi erano fatti in freestyle buona la prima e se provavo a ri-registrarli perdevano quel magnetismo e quell’energia effettivamente usciti fuori da quel momento di spontaneità e magia. Il mio concetto di artista è simile a quello di un medium: quindi la persona è solo un “tramite” attraverso cui si manifesta l’arte stessa. Quindi ne hai controllo, puoi allenare il controllo, ma questo avrà sempre dei limiti.

Perché ti sei allontanato dal freestyle a livello di battle?

Questa è un po’ una leggenda metropolitana. Io al momento sono molto più focalizzato sul fare canzoni, però una cosa non esclude l’altra. Perché io non sono mai stato il tipo da “oh cazzo c’è la battle, mi devo allenare”. Ci sono state battle a cui sono arrivato più allenato e altre meno, ma è sempre stato un caso derivante dal mio tenore di vita del momento. Io lascio scorrere i flussi energetici, quindi mi sono sempre ritrovato ad andare alle battle perché ero preso a bene e volevo andarci. Ricordo al primo Mic Tyson successe una cosa un po’ ambigua: Nitro mi aveva invitato e gli avevo detto che non ci sarei andato perché non era nelle mie vibrazioni. Poi mi sono ritrovato coi ragazzi che salivano e facemmo una macchinata, per questo non ero fra le teste di serie.

E alla terza edizione (quella del 2019)?

Mi hanno invitato, ma per motivi personali non mi è stato possibile esserci.

Quindi non è un vero allontanamento, è un qualcosa più dettato dalle circostanze.

Sì, io sono più focalizzato sul discorso di fare il disco, che quindi ha la priorità. Il mio obiettivo, il mio cammino è quello al momento. La cosa del freestyle l’ho presa in maniera più giocosa, anche se resta sempre una cosa seria. Diciamo che rimane una cosa poco programmata nella mia vita, per quanto tendo a tenere sempre tutte le cose sotto controllo. 

Quanto è difficile oggi emergere per un rapper, causa la sovrapproduzione attuale?

Ho sempre pensato che si potesse emergere relativamente con il freestyle. Non tutti ne recepiscono la magia, ma ad ogni modo continuo a portarlo nei miei show perché la gente che mi segue lo vuole e continua a darmi la sua energia e la risposta di sempre. Ad ogni modo, una carriera da freestyler non è ciò a cui avrei mai ambito, specie dopo aver fatto per la prima volta una canzone e averla vista cantare alle persone sotto al palco. Lì capisci che hai davvero al possibilità di far sì che un tuo pensiero/messaggio venga condiviso dalla gente fino a renderlo la voce del SUO pensiero. Il freestyle ha sicuramente un maggiore “fattore wow” del tipo “come cazzo fa!?”, ma ad un certo punto capisci che offrire un attimo di immedesimazione nelle tue parole e tutt’altra magia! Ma ripeto, uno non esclude l’altro!

Capisco pienamente. Trovo che il freestyle possa presto diventare una vera e propria professione e che sia già più facile farsi un nome ed emergere attraverso il free, rispetto a farlo facendo canzoni. Però è giusto che ogni artista faccia le sue scelte di vita a seconda di quello che si sente. L’importante è che non si passi da freestyle a canzoni “perché bisogna fare così”, ma per motivazioni valide come quelle che mi hai dato.

Mah ti dico la verità: ci sono molti freestyler incapaci di fare canzoni degne di esser definite tali. Magari avessi avuto questo feedback, mi sarei focalizzato appunto sulla improvvisazione e avrei ridotto le mie ambizioni da cantautore. Poi continuano a volare quando faccio freestyle, allora gli do anche quello.

Trovi che il freestyle possa essere un freno per la tua carriera?

Ho capito che ad ora ci sta un seguito del freestyle e un seguito del rap. Non mi è mai piaciuta tanto questa cosa della scimmietta da circo che fa il gioco della rima ed è ciò che mi rattrista della scena del freestyle al momento. Ci sono tantissimi ragazzi bravi a fare freestyle…ma pochi geni. Purtroppo questa cosa mi fa disinnamorare della cosa fino a volermene allontanare o almeno a vivermela senza rapportarmi troppo al movimento, Ma quando lo faccio l’adrenalina c’è ancora tutta! Ecco perché il mio legame è un po’ malato, so che questa cosa per quanto un giorno possa piacermi e un giorno meno…la farò fino al mio ultimo respiro! Poi parliamo anche di “tronismo” (prodotto tipico italiano): ci sono tanti ragazzi giovani e ritengo giusto lasciare spazio ai nuovi senza aver quel bisogno compulsivo di confermarsi e riconfermarsi. Poi ogni tanto diamo qualche colpo di scena: hai presente il film “Lo Squalo” no?

Quindi non ti sta piacendo l’evoluzione che sta avendo il freestyle in Italia?

Sono contento perché sta diventando qualcosa di riconosciuto e di solido. Però guarda, faccio sempre questo discorso: al primo 2thebeat facevano TUTTI CAGARE, ma spaccavano tutti. Perché? Perché non erano figli di YouTube. Ognuno rappava con le influenze del suo posto del suo dialetto background costumi popolari e quindi erano tutti diversi ed era un vero scontro/confronto di stili. Uno rappava in dialetto, uno in italiano, uno aveva le metriche, uno faceva le punchlines (e noi dal Nord africa a chiederci cosa fossero sta patchline ahahah), come anche nello djing. Volevano scratchare, ma vedevano cosa succedeva mettendo la mano sul disco. Ora comprano un giradischi e dopo due anni vanno ai mondiali perché si chiudono in casa a smanettare YouTube e ad apprendere tutte le tecniche, ma senza inventarsi niente. Beh per il rap è la stessa cosa. Per esempio, una volta me ne uscii “la tua tipa si chiama Glenda anagramma di glande”. Per due anni tutti a fare gli anagrammi. Ma non per tutelare un qualcosa di “mio”, ma per dirti che ho avuto anche su di me dimostrazione di ciò . I ragazzi ora studiano ed elevano il livello, però hanno un livello uniforme. Molte volte vedo sfidarsi alle battle ragazzi che effettivamente non sono rappresentati dal rap che fanno ed è palese che si rifacciano a riferimenti o forti influenze. Si percepisce che non esprimono quello che sono, ma provano a vestire i panni di quello che vorrebbero essere. Sono tutti il risultato di studio e assorbimento di stili altrui. Per me quello che emerge e spicca davvero è quello che viene “dal basso” (cit. Lou X ) e quindi fa uscire fuori davvero la SUA roba! Poi la tendenza è tendenza e – si sa – cammina forte, ma la controtendenza rompe tutti li schemi!

Quindi per capire a pieno il discorso, quali sono quelli che per te si distinguono al momento?

Quelli che mi piacciono al momento sono Hydra, Debbit e Blnkay.

La conclusione del discorso immagino che sia che con questi giochi d’incastri ad esempio, il freestyle per te perde di romanticismo?

Sì. Molti mi riconoscono quella cosa, gli incastri ‘ste robe qua. A me quella roba ormai non piace più perché sento di dover essere fruibile al massimo per la gente, quindi mi sto semplificando molto nel modo di esprimermi. Anche perché non penso di dover dimostrare ancora capacità stilistica, ma solo di dare bella musica e belle storie a chi mi segue. La fruibilità del verso…BAM! Arriva forte e chiaro. Poi, forse è solo un momento della mia fase evolutiva.

Per esempio Hydra, ha uno stile abbastanza opposto al tuo

Questo ti fa capire quanto sia in evoluzione il mio stile personale e anche il mio gusto personale. Mi fa volare Hydra!

Ti hanno proposto di entrare in FEA? Cosa ne pensi?

Sì, me l’hanno proposto, ma ero in quel momento di messa a fuoco del mio percorso. Oltretutto come persona non mi piace prendere impegni che non rispetto o che non porto avanti. Poi artisticamente siamo sintonizzati su frequenze diverse, io non ero più concentrato sul freestyle mentre loro erano totalmente focalizzati sulla cosa e hanno premuto il gas. Quindi non me la sono sentita, ma li stra-supporto e hanno tutte le mie good vibes!

Sei uno dei pochi freestyler che, probabilmente, potrebbe andare all’estero e fare freestyle in italiano o in dialetto, riuscendo comunque a prendersi il pubblico.

Grazie, io quando ho fatto la finale all’End of the Weak di Londra, ai mondiali di freestyle della lega americana notavo che gli altri italiani rappavano col metro classico stile “Articolo 31” e gli inglesi stavano catafratti a guardarli. L’italiano è una lingua pesante, la fonetica e tutto, a differenza di inglese e francese. E diciamo che quell’esperienza e quel secondo posto ai mondiali fu la conferma di quanto mi stai dicendo tu!

Quanto pensi che sia importante la voce?

La voce è tutto per me. E’ quella cosa che ti permette di arrivare e farti aprire i cancelli della psiche delle persone, ti parlo proprio di hertz, di armonia, gradevoli all’orecchio. Molti ci lavorano e quando cantano non usano la loro voce. Ce ne sono altri che hanno una brutta voce (a mio avviso).

La finale del Mic Tyson con Morbo: cosa ne pensi di questa sfida e del suo esito.

Guarda, io in quella finale ero un po’ agitato perché c’erano un po’ di cose che non andavano. Poi che ti devo dire la battle la vince uno solo, non penso che mi avrebbe cambiato la vita quel titolo, mi fa piacere che la gente insiste a dirmi che avrei dovuto portarla a casa io, ma non penso la cosa avrebbe cambiato molto nel mio percorso. Poi non era una di quelle battle – tipo io contro Nerone o io contro Bles – in cui ero in stato di grazia massimo. Comunque la gente spesso è assetata di odio e polemiche: se può dire che qualcosa non va, lo fa di gusto. Sicuramente è stata forse l’unica batte in cui ho storto il muso per l’esito… non posso negarlo. C’è stato un po’ di dissenso da parte della giuria, mi sono sentito un po’ ostacolato: forse si erano segnati la rima in semifinale in cui dissi che per loro fare giuria se partecipo io è come “un corso d’aggiornamento“. Forse non è stata gradita, ma comunque me ne curo ben poco del risultato, ma dell’energia trasmessa alla gente (che a quanto pare è rimasta).

Quindi non ti consideri un freestyler molto competitivo, che vuole sempre vincere.

Quando vado alle battle la voglia è ovviamente quella di spaccare, ma ciò che effettivamente mi manda fuori è la gente che grida e si gasa quando chiudo una barra. A me è questo quello che gasa, vederli che mi seguono mentre costruisco un discorso senza sapere dove andremo a parare. Io per esempio non sono mai stato un fan della rima tagliente e dell’offesa in genere, mi lascio trasportare dal flusso e molto spesso mi approccio alla sfida ignorando l’avversario o al limite perculandolo un po’, ma per creare un po’ di goliardia. Il tutto senza mai abbassare guardia o comunque rispondendo a tono.

Parli spesso di flusso, mi sembra ovvio che sia più facile acquisirlo attraverso il minuto, rispetto ai quattro quarti a testa. Non pensi che venga sottovalutato il minuto ultimamente? In molti contest vengono tagliati o ce ne sono troppo pochi “liberi”.

Sono pienamente d’accordo. Il 4/4 è la componente base del botta e risposta del freestyle e dell mcing, ma nel concept di una battle. Non a caso un 4/4 non si può fare da solo, a meno che non facessi Mouri vs Carlo Alberto (e spesso mi è capitato di farlo, tra me e me). Ad ogni modo il flusso parte proprio quando inizi a costruire sul beat senza sapere dove andrai a parare ed è questa la cosa che mi ha sempre affascinato di più: l’incognita del risultato. Il 4/4 mi sembra molto statico e ripetitivo, ma non lo disprezzo comunque.

Quanto influisce il fatto di avere un background da freestyler nella carriera da rapper?

Secondo me il rapper che viene dal freestyle – se ha talento nello scrivere canzoni o più semplicemente se ha qualcosa da dire – è sicuramente avvantaggiato. Fare freestyle è un po’ come un salto nel vuoto, tu non hai un copione scritto, non sai cosa accadrà: proprio per la mia esperienza da freestyler, se salgo su un palco ad eseguire un pezzo ho ansia pari a zero. Chi magari non se l’è mai vissuta nell’universo battle potrebbe averla anche solo per eseguire un pezzo dal vivo che conosce a menadito. Fare freestyle è un attività di multitasking mentale. Molti si preparano le rime, ma se a me viene una rima prima di una battle e provo a infilarla, non mi viene e se viene rovina tutto il flusso. Funziono così.

CmA

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