Il proposito con cui realizziamo le nostre interviste è sempre quello di scavare nei personaggi che ci dedicano il loro tempo. Cerchiamo, poi, di esprimere attraverso il testo dell’intervista, non solo le loro esperienze o racconti, ma anche il loro modo d’essere, la loro psicologia.
Intervistare Reiven da Acireale (e forse anche ascoltarne le canzoni) significa tuffarsi in un mondo, per nulla convenzionale, per nulla semplice da comprendere. Criptico, quasi oscuro… Reiven non è una figurina, non è uno di quei personaggi uniformi di cui puoi prevedere ogni azione/risposta all’interno del libro/il film/la serie. Non è un John Cena e non vuole esserlo, è più un Sasuke, se cerchiamo di esprimerne la personalità attraverso un personaggio. In quest’intervista, Reiven ci ha raccontato vari aspetti della sua esperienza da freestyler e ci ha fatto capire qualcosa in più di lui.
Come hai iniziato a fare freestyle?
Iniziai nel 2010 con il 2thebeat, un amico mi disse di andare a vedere una sfida, Kiave vs Mastino. Rimasi sbigottito per le rime di Kiave, una in particolare “Perché nel cranio, ho un vulcano come ad Ercolano”. Da lì mi iniziai ad allenare e conobbi gente che lo faceva. Iniziai a 16 anni e a fare sul serio a 18.
Fin dall’inizio hai notato di avere un talento?
Fin da subito mi resi conto di essere bravo, ma non musicalmente, con le parole. Musicalmente non ero convinto dei miei mezzi, mentre con le parole ero micidiale. Ero arrogantello, pensavo che allenandomi sarei riuscito a battere anche i più bravi. Poi mi sono scontrato con la realtà e di quanto l’esperienza fosse importante. Col tempo ho fatto pratica e ripreso la convinzione.
Fin da subito hai scritto pezzi?
Sì, fin da subito ero interessato a fare musica. Dentro di me, la voce che mi dice “fai canzoni” è più forte di quella che mi dice “fai freestyle”, da sempre. Un po’ come la differenza psicologo/psichiatra. Solo quando ho vinto il Tecniche e l’anno prima contro Morbo, ero ossessionato dal freestyle, volevo fare solo quello. Tuttavia, scrivere pezzi è la realizzazione del mio Io, mi soddisfa di più.
Cosa pensi che ti manchi per uscire a livello di canzoni?
C’è gente con meno abilità di me che ha successo, ma non è colpa loro, sono nati in un posto diverso e hanno conosciuto persone diverse. Se tu nasci in un determinato posto devi fare di più rispetto a chi nasce in un altro. Personalmente, penso che mi manchi una crescita dal punto di vista musicale, devo imparare a capire, leggere, parlare e la musica. Poi penso di aver scelto un percorso per cui si ha bisogno di più tempo per emergere, una maturità a livello di età e di pubblico, cioè è più facile fare musica per ragazzini quando sei un ragazzino, però quando sei un ragazzino e ti senti un 40enne devi fare un percorso più lungo.
A livello di canzoni, hai un punto di riferimento?
Non rap sì, De André e i Pink Floyd.
Quanto pensi che venga capita la tua musica?
Il giusto. Le mie tracce hanno un linguaggio complicato e ci sta che si rivolgano a una nicchia. Sto facendo un lavoro di “educazione musicale” con quelli che mi seguono, diciamo. Io odio le tracce citazioniste. Poi tutto cambia, non sarà sempre quello che è stato e cambio la mia musica.
Tornando al freestyle, come ti sei creato il tuo stile molto efficace in risposta?
É nato un po’ da sé, è la mia personalità. Anche da piccolo, rispondevo sempre a tono, alle maestre o alle persone più grandi. Avevo sempre la risposta pronta che zittiva le persone. Il freestyle ha amplificato questo mio lato. Poi anche il tipo di studi che ho fatto che privilegiavano sempre la parola (il Classico). Io il flow preferisco metterlo nelle tracce e ricercarlo lì, nelle battle di freestyle voglio arrivare all’obiettivo, cioè vincere la sfida. Sono dell’opinione che c’è una punchline in grado di distruggere qualsiasi flow.
Più difficile lavorare su presenza scenica o sulle rime?
Bella domanda, prima avevo più difficoltà a tenere il palco, ma ero più bravo a livello di rime e incastri. Adesso, tengo il palco meglio e riesco a uscire da situazioni più difficili anche quando rendo di meno, ma mi viene rimproverato che sono calato a livello di rime. Secondo me è difficilissimo abbinare le due cose, fare punch come Blnkay e tenere il palco come Debbit.
Per quello che riguarda il secondo caso ti riferisci al Mic Tyson 2019?
Sì, dove anche senza rigirare tutto, ho capito che potevo riuscire ad arrivare al risultato.
Pensi di essere calato a livello di freestyle?
Mi sto concentrando di più sui pezzi. Poi sto cambiando il mio approccio al freestyle, io posso ancora in una battle stare fermo e rigirare tutto. Sto cercando di sviluppare uno stile interessante per quel che riguarda il freestyle, sviluppando personalità multiple, integrando più stili di freestyle contemporaneamente e facendo uscire parti diverse di me. A volte solo invert, a volte solo flow, a volte solo attaccando, cambiando voce, atteggiamento, tutto. Sto cercando di arrivare a un risultato del genere. I fan si accorgeranno nelle prossime gare che quello che sembra il mio calare è solo il tassello zero.
Ti alleni di meno?
É una preparazione diversa, una volta ci allenavamo sempre, facevamo medie di 2/3 ore al giorno di freestyle. Ora, a volte, stiamo mesi senza fare freestyle. Però, poi dal momento in cui dicono che c’è il Mic Tyson, inizio ad allenarmi 5-6-7 ore al giorno. Quando partecipo, devo dare il massimo, senza poter rimpiangere nulla a livello di impegno. I fan mi rimproverano che non partecipo a tante battle, ma è dal 2016 che partecipo solo a gare di livello nazionale e arrivo sempre almeno in semifinale.
Ci racconti quello che è successo con Moreno?
Non vorrei parlare ancora di questo, ma spieghiamo la situazione. Io per scherzo gli scrissi su Instagram “ti sfido”, ma si intendeva fare due rime per strada. Moreno mise di mezzo il suo manager e Mastafive per organizzare una serata con pubblico. A me non interessava farlo, ma detti il mio assenso. Dopo l’incontro alla serata del Tecniche Perfette, in cui facemmo freestyle, si tirò indietro. Visto che i fan mi continuavano a chiedere info sulla sfida, misi le stories su Instagram in cui spiegavo il perché non fosse avvenuta. A me comunque non interessava fare la sfida, i ragazzi di 4/4 freestyle si proposero per organizzare l’evento, ma gli risposi di no. Io penso che i nemici che hai fanno vedere la persona che sei e quello a cui ambisci: se io vengo visto come quello il cui nemico è Moreno, non ho un ritorno positivo. Parla molto del suo livello, io non so se ora passerebbe gli ottavi di un Mic Tyson, le sue doti da freestyler secondo me le dovrebbe dimostrare sul palco invece di parlare. Tra l’altro se mi vieni a dire che per sfidarti devo venire nella tua città o a un tuo live, evidentemente hai delle carenze di autostima o poca fiducia nei tuoi mezzi.
Discorso FEA: com’è nato e come si sta sviluppando il progetto.
FEA inizialmente nasce grazie a Debbit che raduna tutti i freestyler per fare un grande mixtape. Allora io nella situazione, ho proposto l’idea di creare direttamente un collettivo chiamandolo Freestyle Elite Agency. Tutti quanti siamo stati d’accordo. Siamo tutti molto coesi e il grado di coinvolgimento è totale, con alcuni che sono IL freestyle (vedi Blnkay, Debbit, Morbo) e altri più concentrati sulle tracce (vedi me, Drimer e Shekkero). Con FEA, stiamo cercando di uscire il freestyle dalle battle, farlo diventare una musica-teatro.
É una “agency” aperta?
Inizialmente, quando abbiamo creato FEA abbiamo pensato di includere anche altri freestyler, tra questi Mouri, Snake, Tullo, Il Dottore, Shame… Alcuni dissero di no, anche per non privarsi di partecipare alle gare. Al principio, era un collettivo apertissimo ai freestyler. Arrivati a un certo punto, abbiamo deciso di rendere FEA un nucleo più chiuso. Questo per due motivi: i costi aumentano (più siamo più gli show costano) e poi ci dev’essere coesione fra di noi, senza problemi interni. Per questo, abbiamo dovuto rifiutare l’ingresso di alcuni freestyler… per esempio Shame ce l’aveva chiesto a settembre e non abbiamo potuto includerlo.
Perché partecipi a poche gare, a parte per il discorso distanza?
L’altra logica è che non ha senso andare a 30 anni alle battle a rubare visibilità ai ragazzini, più che altri perché i ragazzi meritano di competere con gente della loro età ed esperienza per crescere. Se gente come Noema non avesse smesso, io all’inizio sarei uscito sempre al primo turno-secondo turno, avrei pensato di essere scarso e non avrei continuato. Invece, confrontandomi con la mia generazione, sono cresciuto. Poi, non voglio essere ricordato come un freestyler e basta. Sono proiettato sulle tracce.
Mentre per gli eventi grossi?
Nelle competizioni grosse è giusto che ci siano tutti i più forti, anzi secondo me ci dovrebbero essere anche altre persone, cioè tutti i big o ex leggende del freestyle per mettersi ancora in gioco. Magari non quelli che hanno fatto disco d’oro e platino e pensano alla musica e ci sta, ma i freestyler per eccellenza possono e dovrebbero dare tanto.
Per esempio Nerone che ritorna…
Ha fatto bene a rimettersi in gioco! Lo rispetto molto per questo. Il che dimostra anche che non basta che tu abbia vinto tanto in passato per poter battere agevolmente un Bruno Bug per esempio.
Ha avuto un effetto speciale batterlo a Milano?
Di tutto il Tyson, la sfida con Nerone è stata quella in cui ero più sciallo e sicuro di me stesso perché avevo visto quello che era successo la battle prima e che mi bastava fare il mio per vincere. Mi ha fatto piacere confrontarmi con lui, anche se vorrei farlo quando sarà al top della forma. Per il pubblico, il Tyson (con le reazioni discordi a Nerone) ha dimostrato come nel freestyle ci sia più “casa mia” o “casa tua”. A Milano, Roma, Torino ci conoscono tutti, è più globalizzato.
Ti pesa non aver vinto il Mic Tyson, pur essendo arrivato fra i primi 4 in tutte le edizioni?
Io nel momento in cui partecipo a una battle, voglio vincerla. Mi alleno 6 ore al giorno per 2-3 mesi per arrivare al risultato. Non voglio vincere tutte le gare, ma il Tyson è uno dei miei pallini, come lo è stato il Tecniche. Quando vincerò il Mic Tyson, non mi interesserà più niente delle battle di freestyle.
Nella classifica del freestyle italiano, dove ti metteresti?
In ordine, Blnkay, Morbo, Shekkero, per risultati, indiscutibilmente e a livello oggettivo. Io mi metto subito dietro di loro, ma sempre per il discorso che in Italia nessuno riesce a portare la mia costanza arrivando sempre in fondo. Poi il quarto posto dipende anche dal gusto personale.